L’Amoris lætitia un dono per le famiglie è la prima lettera pastorale di mons. Giuseppe Zenti da quando è Vescovo di Verona. È stata consegnata il Giovedì Santo ai presbiteri presenti in Cattedrale al termine della Messa del Crisma. Il Vicario generale, mons. Roberto Campostrini, ha sottolineato che la lettera contiene le indicazioni del Vescovo per la nostra diocesi secondo quanto era richiesto dalla stessa Esortazione apostolica postsinodale di papa Francesco, con alcuni precisi indirizzi per i presbiteri e le comunità cristiane chiamati ad accompagnare le persone ferite nella relazione coniugale che chiedono di iniziare un cammino per riscoprire la gioia della piena comunione nella Chiesa.
Seguendo Amoris lætitia, che “non è un trattato di teologia del Matrimonio” – come sapientemente fa presente il Vescovo nella sua lettera pastorale – ma ha “come chiave interpretativa, la pastoralità che assorbe in sé teologia e diritto canonico, posti a servizio della persona in situazione”, la nostra Chiesa ha iniziato due anni fa un processo che giunge oggi ad una tappa di crescita. Tappa che a sua volta è un riprendere a fare strada insieme, preti e laici, sotto la guida del Vescovo.
La lettera del Vescovo ha voluto considerare l’intero arco di Amoris lætitia, “divenuta oggi la magna carta per tutti coloro che desiderano edificare la loro felicità personale e familiare secondo il progetto di Dio per l’oggi, sintesi dei precedenti interventi magisteriali e rilancio profetico”, “al fine di rifocalizzarvi la nostra pastorale familiare”.
Una Chiesa
col cuore di madre
È quanto mai significativo che al cuore dell’attenzione via sia una visione pastorale, che pone la Chiesa autenticamente in uscita. A condurre la Chiesa verso le periferie dell’esistenza, anche affettivamente ferita, è proprio la pastorale che “per sua natura non è schematica; pur nella sua assoluta fedeltà alla verità rivelata e interpretata con autorità dal magistero, è flessibile per essere risposta adeguata alla situazione concreta della singola persona o famiglia”. È questa sensibilità che spinge affinché “tutte le situazioni di povertà non vanno affrontate con il cipiglio del gendarme della moralità, ma con le ‘viscere materne’ predisposte a prendersi cura dei figli in stato di difficoltà come un bisogno vitale del cuore di madre. Tale atteggiamento materno equivale alla benevolenza misericordiosa, come partecipazione alla misericordia di Dio, riservata a tutti, senza eccezioni. Le situazioni di fragilità delle famiglie divenute anche ‘irregolari’ sono patrimonio della cura pastorale non meno delle altre”.
Un percorso per fare esperienza
della misericordia
Su queste basi il Vescovo indica le linee di fondo ed essenziali per prendersi cura delle persone separate o risposate, alle quali offrire non tanto facili soluzioni, ma un cammino di vita, che favorisca l’opera di Dio verso il cuore delle persone e il cammino del loro cuore verso Dio. La finalità di arrivare ad una riconciliazione sacramentale si fa allora più concreta, quanto maggiormente impegnativa, perché non si tratta di “assolvere” o “far finta di nulla”, ma di avviare autentici percorsi di esperienza di quella misericordia che rende luminose le ferite. In concreto un percorso “compiuto sotto la guida di un presbitero scelto liberamente e con l’auspicabile affiancamento di una coppia di riferimento”. Un “percorso pedagogico caratterizzato da piccoli e significativi passi e finalizzato a illuminare la coscienza secondo verità nella carità”.
In questa luce i presbiteri trovano nuova espressione della loro dimensione pastorale. “Il ministero dell’accoglienza, dell’ascolto, del discernimento e dell’integrazione compete ad ogni presbitero”. Ministero che il Vescovo desidera affiancato da un’apposita Commissione, che sia punto si sostegno e riferimento. “Il presbitero che sta facendo da guida spirituale pastorale di persone in situazione matrimoniale irregolare faccia costante riferimento alla Commissione diocesana, costituita da presbiteri e laici competenti nei vari aspetti del Matrimonio”, che esprime un punto di riferimento ecclesiale unito al Vescovo.
Accompagnare nel cammino
spirituale ed ecclesiale
Un cammino esperienziale, per sperimentare l’amore di Dio, sentire la sua vicinanza, scoprire la propria risposta, avvertire l’attrazione dello Spirito verso la bellezza e il bene. E in questo quadro anche un cammino di crescita di consapevolezza e di luce della coscienza. Non si tratta di sostituirsi alla coscienza della persona in cammino, ma di accompagnarla nel cammino spirituale, fornendole gli strumenti necessari affinché sia sempre più serena e vera dinanzi a Dio. “L’ultima istanza decisionale ancora una volta è di assoluta e mai surrogabile competenza della coscienza del fedele, confortata comunque dal discernimento del Vescovo“. Quando il cammino è svolto con progressività e continuità si apre la possibilità di “riammettere alla Comunione eucaristica, che si potrà raggiungere alla fine del percorso, qualora si riscontrino le condizioni maturate dalla coscienza del soggetto in causa sintonizzata con la Verità”.
In un simile cammino comune cresce in tutti l’esperienza di essere Chiesa. E a conferma di questa ecclesialità il Vescovo si coinvolge personalmente in un ultimo discernimento, che sigilla il cammino. “Un eventuale percorso predisposto ormai a sfociare nella prospettiva di un possibile accesso ai sacramenti della Confessione e della Comunione eucaristica, venga consegnato al Vescovo, per un ultimo e definitivo discernimento, che gli compete”.
Francesco Pilloni
Direttore del Centro di pastorale familiare