Populista….a chi?
Uno spettro si aggira per l’Italia, e anche per alcuni Paesi europei (tanto per parafrasare liberamente Marx): quello del populismo, il quale si contrappone e ostacola il principio di fraternità, in quanto non riesce a pensare “un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture” (Fratelli tutti n 155). E infatti, bisogna tenere presente che se la giustizia è necessaria per una buona politica, perché senza di essa la società sarebbe simile a una “banda di ladri” (come scriveva S. Agostino), allo stesso tempo bisogna aggiungere che per il buon andamento di una comunità politica non si può fare a meno dell’amicizia sociale (come già Aristotele aveva affermato). Papa Francesco distingue tra “populismo” e “popolarismo”. Il populismo, paradossalmente, ignora la legittimità stessa della nozione di popolo e ciò potrebbe portare all'eliminazione della parola “democrazia” (che significa “governo del popolo”), e infatti un corollario del populismo, spesso, è il totalitarismo, con la negazione di ogni libertà e responsabilità personali. Inoltre, il populismo si caratterizza in quanto strumentalizza politicamente la cultura del popolo, le sue tradizioni, la sua religiosità piegandole al servizio non del bene comune, ma del proprio progetto e della propria permanenza al potere. Si spiegano così i gesti plateali di alcuni leader politici che, senza alcun ritegno, nel pieno delle loro campagne elettorali, sbandierano simboli sacri, come ad esempio la corona del rosario, il vangelo oppure il crocifisso, con lo scopo di mostrare che la loro ideologia populista si vuol porre come difesa dei valori cristiani. E le scelte politiche sull'immigrazione, ad esempio, vengono spacciate come un necessario baluardo per contrastare l'invasione “islamica”, vista come pericoloso grimaldello per smantellare l'identità cristiana della Nazione. E, purtroppo, sotto questo punto di vista molti cattolici, ecclesiastici e laici, abboccano alle lusinghe di una politica populista che promette protezione alla Chiesa cattolica. Ma costoro dimenticano che questo tipo di protezioni politiche preludono alla perdita della libertà della Chiesa, come acutamente notava Rosmini nella sua opera “Le cinque piaghe della Santa Chiesa”. Altre volte, invece, il populismo mira ad accumulare popolarità e, quindi, consensi elettorali, fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione diffondendo una cultura di chiusure, di muri, di difesa di fronte alle varie forme di paura per il diverso, per l’immigrato, considerati invasori e, perciò, come potenziali o attuali nemici. “Dopo la morte di Dio si assiste alla morte del prossimo, allora non c'è da stupirsi che il senso di giustizia e la solidarietà siano sostituite dalla domanda di sicurezza e dalle nuove forme di razzismo” (L. Zoja). Domande alle quali sembra rispondere il populismo. Ma in una simile concezione, si deforma la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui si parla non è un vero popolo. Il populismo, pertanto, non ha nulla a che vedere con il “popolarismo”, come quello portato avanti, nel secolo scorso, dal grande don Luigi Sturzo. E infatti, la categoria di “popolo” è inclusiva e aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando sé stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi (cf Fratelli tutti, nn 156-161). Il vero bene comune a cui sottintende il principio di fraternità punta allo sviluppo di tutti e di ognuno, prevedendo anche l’accompagnamento dei più deboli e fragili che non devono essere lasciati e abbandonati per strada. Infatti, essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali, in cui ognuno offre e riceve solidarietà. Per questo un tema importante è il lavoro (cf Fratelli tutti n 162). In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo. In conclusione, ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze, per fare in modo che tutti siano aiutati a vivere un’esistenza dignitosa, degna della persona umana.
Don Piero Sapienza – Direttore Ufficio Problemi Sociali e Lavoro